10 Ott 2021
 / The Message

L'oro ramato – Mining

Nel tempo, guidati dalle necessità, abbiamo dato all’oro colorazioni diverse. O meglio, abbiamo attribuito a materie prime di vitale importanza l’appellativo di oro, colorandolo come la materia prima stessa. Così abbiamo chiamato oro bianco il cotone e oro nero il petrolio. Ora, pare che una nuova colorazione sia in atto, e l’oro stia assumendo sfumature ramate.

L’Europa ha pubblicato due mesi fa il suo Fit for 55, un pacchetto di riforme volto a ridurre del 55% le emissioni di gas serra già entro il 2030, rispetto al 1990, perché per essere sicuri di arrivare al target di neutralità del 2050 bisogna inevitabilmente fissare paletti intermedi, per non perdersi cammin facendo (per approfondire).

Considerando anche i programmi degli altri Paesi, per raggiungere l’obiettivo intermedio sarà necessario, da qui al 2030, un quantitativo di rame legato all’economia verde sei volte maggiore di quello attuale. La stima arriva a nove volte se la tonalità sarà più intensa, ossia si adotteranno soluzioni tecnologiche sempre più sostenibili. È facile intuire che non si parli di un numero sproporzionato se pensiamo che il rame è utilizzato ovunque: dall’auto elettrica (che usa sei volte la quantità di rame di un’auto a combustione) alle stazioni di ricarica, dalle pale eoliche ai pannelli fotovoltaici, dalle batterie alle reti elettriche. Insomma, il mondo dell’energia e del trasporto che l’Europa immagina in un domani, ormai prossimo.

Secondo alcune ricerche, il prezzo dell’oro ramato è destinato quasi a raddoppiare nei prossimi anni, a causa di questa domanda accelerata a cui non seguirebbe un adeguato aumento dell’offerta. I motivi di una produzione apatica risiedono nell’assenza di tecnologie adeguate a un’estrazione più efficiente di questa materia prima; nella poca disponibilità da parte delle compagnie minerarie a nuovi investimenti che ridurrebbero i margini di guadagno; al fatto che l’ampliamento di una miniera di rame necessita di due/tre anni di lavoro, mentre una nuova miniera impiega fino a otto anni prima di generare ricavi.

E vista la ciclicità della materia prima avuta finora, come dare loro torto? L’unico modo per convincere i produttori è dunque quello di aumentare il prezzo del rame, per disporre di liquidità di cassa e avere un business sostenibile in futuro.

Se il rame sarà la materia prima per eccellenza, rappresentando più del 50% del totale dei metalli necessari alla rivoluzione delle tecnologie verdi, non saranno da meno tutte le altre: nickel, cobalto e litio sono essenziali per le batterie elettriche, la leggerezza dell’alluminio riduce i consumi di auto, camion e aeroplani, mentre il platino, il palladio e il rodio sono essenziali per i catalizzatori, utilizzati sia per ridurre le emissioni delle auto diesel che per le nuove fuel cell a idrogeno.

L’estrazione delle materie prime ha però da sempre fatto storcere un po’ il naso agli investitori ESG, sia per le emissioni di CO 2, che per il consumo di risorse e l’aspetto sociale. Tutti elementi che dipendono da molti fattori, quali il mix di prodotti, il tipo di estrazione e la dislocazione geografica.

Infatti, produrre alluminio è più inquinante che produrre ferro o rame; se è necessario scavare sottoterra i consumi saranno maggiori come i rischi per i lavoratori, rispetto a miniere sul suolo; e ancora, perché se si estrae in un paese emergente ci sono più rischi sociali e politici che estrarre in Canada o Australia.

Se ci limitassimo alle emissioni dirette (scope 1 e scope 2) delle società minerarie, scopriremmo che rappresentano solo l’1% delle emissioni totali del pianeta. Ma la percentuale diventa sensibilmente maggiore, 7%, se si considerano le emissioni indirette, ossia quelle generate dall’utilizzo delle materie prime, dove la parte preponderante è dovuta al carbon fossile.

C’è anche un aspetto di utilizzo delle risorse da considerare: se di alluminio ne abbiamo in abbondanza, di rame ne abbiamo meno, considerando anche la crescita della domanda che si prospetta per il prossimo futuro. In questo caso, un contributo fondamentale arriverà dal riciclo delle materie prime dismesse, che permetterà anche una calmierazione dei prezzi. L’aspetto più controverso e delicato legato alle società minerarie è però quello sociale. Generalmente le miniere sono situate in paesi emergenti, con governi spesso poco sensibili ai diritti umani, come il noto sfruttamento del lavoro minorile nelle miniere di cobalto in Congo. Di contro, chi opera in quei luoghi instaura un rapporto duraturo con la popolazione locale, offrendo posti di lavoro, costruendo scuole, strade, ponti, fornendo assistenza medica e supportando la popolazione in molteplici modi.

Vi è poi il tema della Governance, che qui ha un peso maggiore che in altri settori, dato il contatto frequente con governi poco strutturati, o presenti, spesso corruttibili, inclini a decisioni repentine e inaspettate. Un esempio è la proposta di legge del Cile, nell’aprile scorso, di aumentare le tasse sull’estrazione del rame fino al 75%, per far fronte all’emergenza Covid, considerando che le miniere del Cile producono quasi il 30% del rame mondiale e questa attività è un’entrata significativa per questo paese.

Il peso maggiore attribuito a fattori meno misurabili quali la S e la G, rispetto alla E, rende questo settore suscettibile di una dispersione di giudizi molto ampia da parte delle agenzie di rating nell’attribuzione di un indice di sostenibilità alla stessa società. È forse questo uno dei motivi della scarsa presenza di simili compagnie nei portafogli ESG; o magari ciò dipende dal giudizio di investitori, giornalisti e analisti indipendenti che potrebbero definire greenwashed i prodotti con azioni di questo tipo. Attività, quella della scoperta di prodotti greenwashed, in fermento, negli ultimi mesi.

Sicuramente la molteplicità di fattori critici presenti nel settore minerario richiede un’attenzione maggiore durante la selezione dei titoli, ma siamo sicuri che un portafoglio sostenibile possa fare a meno di quelle materie prime che saranno l’elemento basilare della stessa sostenibilità?

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