10 Feb 2023
 / The Message

8 miliardi – Cibo

Secondo l’ONU, il 15 novembre 2022 la popolazione mondiale ha raggiunto gli 8 miliardi di individui. La domanda di cibo cresce, le aree disboscate aumentano, la biodiversità diminuisce, i suoli diventano sempre più aridi: fenomeni che aumentano le emissioni di GHG nell’atmosfera. L’ONU stima che tutta la catena del valore del cibo rappresenta il 30% delle emissioni globali, di cui il 40% deriva da agricoltura e allevamento, fertilizzanti e pesticidi, un terzo dai cambiamenti di uso del suolo e la rimanente parte dalla supply chain: cottura, refrigerazione, packaging, trasporto e rifiuti, con questi ultimi che ammontano a un terzo del cibo prodotto. Non solo, l’agricoltura usa il 70% dell’acqua potabile e l’allevamento l’80% dei terreni agricoli, contribuendo però solo al 20% delle calorie e il 37% delle proteine che assumiamo tutti i giorni. Aggiungiamo che più del 50% degli antibiotici prodotti sono utilizzati nell’agricoltura e nell’allevamento, con la conseguenza di una resistenza dell’uomo all’effetto degli stessi.

Senza un cambio di filosofia della nostra dieta e delle nostre abitudini alimentari, dove la carne rossa abbonda a sfavore di frutta e verdura, l’obiettivo di Parigi diventerebbe irraggiungibile. Senza contare che avendo 2 miliardi di persone in sovrappeso o obese e 2 miliardi denutrite, un ripensamento generale del settore avrebbe anche benefici sulla salute.

L’Europa, con il programma Farm to Fork, rientrante nel Green Deal, è stata la prima a mettere le basi per un ripensamento dell’intera catena del valore del cibo. Tra gli obiettivi entro il 2030, ci sono: la riduzione del 20% di fertilizzanti, del 50% di pesticidi e del 50% di antibiotici, portare al 25% i terreni agricoli adibiti a coltura biologica (vs il 7,5% attuale), convertire il 10% di quelli agricoli in aree dove possano proliferare animali selvatici e possa aumentare la biodiversità, trasformare il 30% delle terre e dei mari in zone protette (attualmente 26% delle terre e 11% dei mari lo sono) e dimezzare gli sprechi di cibo.

Gli Stati membri non vogliono obbligare la popolazione a nutrirsi secondo i loro dettami, ma possono influirne le decisioni: etichette obbligatorie su nutrizione e provenienza del prodotto, evitare campagne pubblicitarie sulla carne a basso prezzo che offuschino la qualità del cibo e utilizzo di tassazioni diverse a seconda del prodotto, come la proposta di aggiungere una tassa di 1€/kg sulla carne dal 2023 al 2025, aumentandola progressivamente. Inoltre, l’Europa fornisce 30 miliardi di euro in sussidi per l’allevamento di bestiame, che, se reindirizzati verso l’agricoltura cellulare e la produzione di alimenti a base vegetale, potranno aiutare tale transizione. Queste due forme alternative di produzione del cibo, infatti, ridurrebbero le emissioni di GHG del 90% a parità di carne prodotta, nonché un uso limitato di acqua, pascoli e altre risorse. A tal proposito, il 27 aprile la Commissione europea ha registrato l’iniziativa End The Slaughter Age con la quale si chiede di eliminare i sussidi europei destinati all’allevamento, per convogliarli a forme di produzione di carne alternative, quali le due sopra citate. Il 5 giugno del 2022 è partita la raccolta firme. Può essere che in un anno non raggiungeranno quel milione di adesioni necessarie a prendere in considerazione la mozione, ma è certo che questa iniziativa non sarà isolata, data l’intenzione dell’Europa di incentivare un cibo più sostenibile.

Altre forme di incentivo potranno essere la capacità degli agricoltori nel sequestrare la CO2 emessa, far entrare questo settore nel mercato dei certificati di CO2, l’uso di fonti pulite per l’energia necessaria alla produzione o digestori anaerobici per i biogas prodotti dai rifiuti di cibo.

Legati a questa trasformazione ci sono anche due aspetti sociali importanti, quali un trattamento più sano per gli animali e la riduzione del lavoro minorile a livello globale, dato che il 75% di questo abuso avviene proprio nel campo dell’agricoltura e dell’allevamento.

Le società impattate da questa trasformazione saranno tutte quelle coinvolte nella catena del valore del cibo, ovvero produttori di bestiame, aziende chimiche di fertilizzanti ed enzimi, società che forniscono e commercializzano i prodotti, ristornati, start up del cibo alternativo, società tecnologiche che realizzano l’attrezzatura per un’agricoltura più mirata e sostenibile, nonché compagnie farmaceutiche che eseguono test attraverso tutta la catena del valore.

Da questo gruppo, la trasformazione in atto favorirà soprattutto le società che producono enzimi e aromi e quelle che eseguiranno i test: le prime, perché vedranno il loro contributo alla generazione di prodotti a base vegetale lievitare all’85%, rispetto all’attuale 15% per un analogo tradizionale; le seconde, per un maggior controllo e per l’obbligatoria etichetta che dovrà essere applicata sui prodotti che saranno venduti nei supermercati.

Attualmente i cibi alternativi hanno un prezzo superiore a quelli tradizionali, ma stiamo paragonando un’industria nascente contro una che produce su grande scala da decenni, con processi ottimizzati. È facilmente intuibile come la nuova industria potrà avere costi minori col tempo, favorita da un aumento della produzione, dallo sviluppo della tecnologia e dalla capacità di sfruttare il 90% in meno di risorse del nostro pianeta.

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